Patrizia e il calcio

Anni fa mi occupavo di mandare avanti, insieme ad alcuni carissimi amici, un grosso sito internet che si occupava della Lazio. Erano anni trionfali, per i colori biancocelesti, e mentre Cragnotti, Mancini, Nesta, Nedved e compagnia trionfavano sui campi di tutta Europa, la Ruco Line Lazio, versione femminile facente parte della gloriosa polisportiva biancoceleste, conquistava il suo quinto scudetto.

Era la squadra che, al tempo, ne aveva vinti di più. Patrizia Panico, centravanti di classe superiore, segnò 48 gol in campionato (esatto, hai letto bene, quarantotto), aggiudicandosi la classifica dei cannonieri e guidando le giovani aquilotte al trionfo. Noi, sempre affamati di cose biancocelesti, cominciammo a seguire, per qualche tempo, le loro evoluzioni. Invitammo le ragazze a cena un paio di volte, provammo a dare spazio ai loro risultati, anche grazie all’aiuto della cara Anna Tina Mirra, donna-comunicazione della Polisportiva e collaboratrice del CorSport, scomparsa prematuramente. Ciao, Anna Tina, io non mi dimentico di te, grazie di tutto quello che hai fatto per noi e per la Lazio.

Io allora giocai a fare il giornalista, seguendo il girone eliminatorio della Champions League che si disputò al Flaminio, davanti a un pubblico folto e appassionato, che non lesinò offese sessiste all’arbitra e alla guardalinee (tacerò per sempre il nome del lazialone che, nel silenzio del pomeriggio romano, pieno di sole ma con la dolce temperatura di fine settembre, l’apostrofò con un tonitruante “a guardalineeeee sei brutta nun te se po’ guardàààà”. Il nickname però era K…).

Sì sentì solo lui e io provai imbarazzo, visto che conversava amabilmente con me, tra un bercio e l’altro. Fu quella la volta (l’unica, credo) che un tifoso della Lazio un po’ scemotto, di cui non farò il nome, e nemmeno il nick, mi si avvicinò con deferenza, come fossi un titolare vero di tribuna stampa. “Ti leggo sempre”, mi disse. Io arrossii.

Intanto aggeggiavo con un accrocco elettronico che funzionava male per intervistare Manuela Tesse, Daniela Di Bari, Manuela Lattanzi. Patrizia Panico era lì, con l’aria severa, gli occhiali scuri, una giacca azzurra, o di jeans, non ricordo.

La Lazio fu eliminata dalla Champions dalle francesi del Tolosa per la differenza reti. Di quelle gare ho un ricordo piacevole: chi è appassionato di calcio ne gradisce ogni manifestazione. E’ sbagliato paragonare il calcio femminile a quello maschile, mentre è corretto che lo si giochi con le stesse regole: si può così apprezzarne la versione autentica che sanno darne le donne, come accade per altri sport, individuali o di squadra.

E’ scontato tirare in ballo la forza fisica e la velocità maggiore che gli uomini (non tutti) sono in grado di mettere in campo. Il calcio, però, si alimenta anche d’altro. E’ facile accorgersi della qualità tecnica delle calciatrici, e rimane vivo il mistero agonistico, che fa sì che una partita sia sempre una partita, chiunque la giochi: il dramma sportivo si rappresenta, ogni volta diverso, sempre da scoprire.

Patrizia Panico in campo era di un’altra categoria. Tutti la paragonano a calciatori maschi, alcuni a Carolina Morace. Non sarebbe giusto, però. Patrizia Panico era lei, degna di rappresentare un termine di paragone, una categoria a parte.

Per i suoi dieci scudetti, i cento gol in nazionale, i seicento gol in una lunghissima carriera, i quattordici titoli di capocannoniere conquistati. Un’attaccante di tecnica sopraffina e fisico non eccelso, in grado di far valere rapidità, cattiveria, fiuto del gol. Carisma da vendere.

L’ho ascoltata commentare le gare del recente mondiale femminile e mi sono chiesto come mai lei, e la sua collega Katia Serra, anche lei in quella Lazio da Champions League, non siano chiamate a commentare anche il calcio maschile, con la competenza che hanno e la capacità di dire cose non banali, che raccontano il campo per quello che è, a chi difficilmente fluidifica fuori dal divano.

Basta, per spiegarlo, dire che il calcio femminile non ha ancora raggiunto lo status professionistico e che sarebbe sufficiente l’ingaggio del solo Cristiano Ronaldo a garantire uno stipendio dignitoso all’intero movimento delle ragazze.

La scomparsa del mondiale femminile dai radar della TV, seguita all’eliminazione delle azzurre, racconta quanto ci creda chi deve fare promozione. Zero. Il fatto che ci sia, però, una corsa ad attivare una sezione femminile nelle maggiori squadre di club maschili, fa ben sperare: un derby o uno scontro classico troverà sempre un seguito felice di trovare un nuovo campo di battaglia, al margine del quale sfottersi e sfogarsi.

Leggo che Alia Guagni, protagonista in nazionale e nella Fiorentina, ha rinunciato a un triennale molto ricco offerto dal Real Madrid. Per molto ricco s’intende un 250mila lordo per tre anni, che è un buon ingaggio di serie C maschile, in Italia. Panico in serie C avrebbe rimediato un sacco di botte, ma avrebbe segnato anche parecchi gol, secondo me. E anche in B. E in A.

Sarebbe bello poter vedere un giorno un match misto, ma nel calcio il contatto fisico impedisce un confronto alla pari. Bisogna, quindi, che il movimento femminile salga di livello con le sue gambe. A giudicare da quello che si vede in campo, di passi avanti ne ha fatti tanti. In Italia, forse, oltre alla promozione televisiva ci vorrebbe un successo in una grande competizione internazionale. Per farlo occorrerà trovare un’erede a Patrizia Panico, che oggi seleziona la nazionale maschile under 15.

Domenica scorsa da Vald’O, a San Quirico, che è un altro mio luogo del cuore, Valeria Ancione ha presentato il suo libro su Patrizia Panico: “Volevo essere Maradona”, edito da Mondadori. C’ero anch’io, tra il pubblico. E c’era la capitana di quella Lazio, Daniela Di Bari.

Il titolo sportivo è stato ceduto, nel frattempo, alla Lazio di Lotito, che ha costituito la sua sezione femminile. Laziowomen, si chiama. La Lazio calcio femminile pluriscudettata è poi rinata, dopo un anno di inattività, e naviga in serie C. Nei nostri cuori di tifosi, però, la Lazio è una: Panico ha sempre raccontato con gioia la sua passione per il biancoceleste.

Avrebbe meritato uguale passione da parte dei tifosi laziali, ma il suo contributo per la crescita del movimento femminile in Italia l’avrà ripagata di tanto impegno. E i 4 scudetti regalati alla Torres hanno scalzato la Lazio dal suo primato al femminile.

Lotito, intanto, facendo nascere la scuola calcio femminile della Lazio, è corso ai ripari. Non è tardi: con i soldi che butta via una società di serie A si può fare molto, al femminile. Magari coinvolgendo qualche grande campionessa dal passato biancoceleste…

Comprate il libro in libreria, mi raccomando.

 

 

1 commento su “Patrizia e il calcio”

  1. Il movimento calcistico femminile è in crescita. Si sono accorti che è un altra fonte di business. Nulla di male. Ho seguito i mondiali, per ora è più pulito e non ci sono le squallide manfrine che fanno i maschi. Sul piano fisico deve crescere un po’, per essere più spettacolare; ma per questo serve il professionismo, come avviene in altre discipline.

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