“…tutta la nostra ricchezza, il nostro prestigio, la nostra rispettabilità, le nostre opportunità, le nostre tutele, qualsiasi forma di sopravvivenza, derivano dal nostro lavoro. Ma il lavoro viene negato a un numero crescente di individui che quindi sono gettati nella disperazione. La mancanza di lavoro non dipende da chi non ce l’ha, e tuttavia gli viene imputata come se fosse colpa sua.
Una colpa di cui vergognarsi.
Ogni giorno ci viene raccontato che la disoccupazione è effetto di una crisi passeggera ma, nei fatti, la crisi non passa e, anche se passasse, nessuno ci assicura che, con essa, cesserebbe anche la disoccupazione. E mentre vengono contrabbandati come rimedi i più astrusi sotterfugi (come il Jobs Act o i voucher) di cui conosciamo in anticipo l’inefficacia, mentre vengono esibite statistiche ridicole (come un incremento dello 0,2%) di cui è lampante la futilità, milioni di persone si macerano in una sofferenza sorda, acuita dalla vergogna per il fallimento, benché incolpevole. Una vergogna che coinvolge, insieme al disoccupato, anche i suoi familiari: la madre che si umilia a implorare un lavoro purchessia per la propria figlia; il padre che inventa scuse penose per nascondere a se stesso e agli altri la disoccupazione del figlio (“E’ in attesa di una risposta dalla Ibm”; “Sta seguendo un corso alla London School”; “Sta conseguendo un master ad Arcavacata”…).
Siamo in presenza di una mutazione epocale per cui riusciamo a produrre sempre più beni e servizi con sempre meno lavoro umano, eppure imputiamo ai disoccupati il peccato della loro disoccupazione come se, avendo voglia di trovare un impiego, tenessero a portata di mano un ottimo posto di lavoro che si ostinano colpevolmente a rifiutare. E, a furia di essere considerati colpevoli, finiscono per sentirsi tali, succubi di un’alienazione che rende inclini alla depressione.
Indurre alla vergogna i disoccupati e i loro familiari è un capolavoro del capitalismo, perché tramuta la rabbia in rassegnazione e garantisce pace al sistema”.
(Domenico De Masi)
“imputiamo ai disoccupati il peccato della loro disoccupazione come se […] tenessero a portata di mano un ottimo posto di lavoro che si ostinano colpevolmente a rifiutare”. Tristemente vero.
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verissimo.
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