Postpank

Non mi faccio chiamare Pank. Quando mi chiedono il nome dico sempre Pancrazio, non ho mai amato nomignoli, diminutivi o vezzeggiativi. Uno dei miei rarissimi omonimi mi chiese come mai mi facessi chiamare Pancrazio (lui si fa chiamare Ezio, che è molto peggio). Risposi che Pancrazio non è un nome che si può ridurre, il che per chi lo porta è una specie di responsabilità: nome da schiena dritta, da persona integra, da gente con le spalle forti. A Pank sono affezionato perché lo scelsi come nickname, visto che associava la parte iniziale del mio nome con la passione per la musica punk.Era secco, equilibrato, trasversale ed è rimasto. Da lì a Postpank il passo avanti è stato quasi obbligato.

Back to Amatrice: La normalità del terremoto

Scritto per Emergenze il 20/12/2016

Che cos’è la normalità? Me lo chiedo mentre cammino tra le case fantasma del mio paese. Cerco di rispondermi con qualche esempio: alzarsi la mattina, andare a lavorare, tornare a casa, mangiare, dormire, lavarsi, stare con i propri cari.

Mi rispondo ma non riesco, guardandomi intorno, a scorgere segni di normalità. Non c’è niente di normale in questo sciamare di persone che si trovano fuori contesto e fuori stagione. Sono le facce dell’estate ed è inverno. Dicono cose diverse dal solito. Si salutano frettolosamente, guardano verso la strada, aspettano qualcuno di fuori.

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Fascismo e antifascismo sono concetti superati? Col cavolo

Scritto per Emergenze il 13/12/2016

« Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza la giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà. Ecco, se a me socialista offrissero la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, ma privandomi della libertà, io la rifiuterei, non la potrei accettare. […] Ma la libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana. Si può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha un lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero. […] »
(Sandro Pertini)

Un giovane politico, che non nomino per decenza e per rispetto della grande figura che ho citato a margine, ha irriso ieri sera un anziano Giovanni Minoli che gli chiedeva, in un’intervista televisiva, cose sul fascismo e sull’antifascismo, rispondendo che nel 2016 parlare di fascismo e antifascismo è come parlare di Guelfi e Ghibellini. Acqua passata.

Questo succedeva alla vigilia dell’anniversario dell’attentato di Piazza Fontana, che inaugurò nel 1969 la stagione delle stragi in Italia conosciuta come “strategia della tensione”, mirata a condizionare e a ritardare il compimento della democratizzazione del nostro paese, dove ancora oggi sono vive, e raccontano memoria, persone sopravvissute agli eccidi perpetrati dai nazisti nell’ultima guerra, con la fattiva collaborazione dei resti di un infame regime in decomposizione, persone sopravvissute ai campi di concentramento e di prigionia e alla tortura della polizia fascista e della Gestapo. Continua a leggere Fascismo e antifascismo sono concetti superati? Col cavolo

Le basi culturali del maschilismo: bella senz’anima e altre storie da ridere

Scritto per Emergenze il 6/12/2016

Tra le cinque delusioni amorose che hanno segnato la vita di Rob Fleming non c’è Laura. Così comincia “Alta Fedeltà”, di Nick Hornby, un libro che racconta l’intricato universo sentimentale di un dj 35enne che si adatta a vendere dischi da collezione in un negozio londinese.

Laura se n’è andata a vivere altrove col vecchio vicino del piano di sopra e Rob si tormenta l’anima. La sua preoccupazione principale nasce dalle pregresse performance sessuali del vicino, che i due avevano ascoltato più volte rendersi protagonista di estenuanti cavalcate erotiche condite da cigolii e mugolii di piacere con la ragazza di turno.

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La battaglia etica di Baobab Experience

Scritto per Emergenze il 29/11/2016

di Pancrazio Anfuso

Abel Temesgen era un ragazzo di 17 anni, fuggito dal suo paese, l’Eritrea, da anni vittima di una dittatura sanguinaria che uccide, tortura e costringe la popolazione a stenti inenarrabili.
Il giovane profugo è morto qualche giorno fa investito da un treno a Bolzano. Voleva raggiungere il fratello a Francoforte. Da minorenne aveva diritto a viaggiare per ricongiungersi con un suo familiare, ma non lo sapeva. Ha provato a saltare su un treno merci come facevano gli hobos nell’America della Grande depressione. Non ce l’ha fatta.

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Il racconto di Fidel

Gianni Minà, Latinoamerica n.93, ott/dic 2005

Alla fine di una intervista che ci impegnò per sedici ore, dalle due del pomeriggio di domenica 28 giugno 1987 alle cinque del mattino del lunedì seguente, Fidel Castro paragonò il lavoro da noi svolto a quello di due operai dell’informazione e concluse con ironia: <>.

Non credevo che Fidel mi avrebbe raccontato, con tanta franchezza e intensità, la vicenda di Che Guevara.

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