Ventrale

Affastellare nel cranio informazioni inutili, come faccio io fin da piccolo, è un modo per trovare qualcosa di familiare, poi, negli eventi che ti saltano in faccia appena accendi la radio, la tv o apri il giornale.

Così (essendo un po’ cretino) la notizia dell’attacco/bombardamento contro la centrale nucleare di Zaporozye (lo scrivo come l’ho memorizzato nel database intracranico) non mi ha gettato nell’angoscia, come tutti quelli che hanno visto riattivarsi il fantasma di Cernobyl. Quello è successo solo qualche secondo dopo…

Quando ho sentito Zaporozye ho strillato: il paese di Yashchenko! E sì, il caro Volodya, che ricordano in pochi, era un magnifico giovanissimo saltatore in alto, che passò come meteora nel firmamento dell’atletica: un primato del mondo a 18 anni, venuto dal nulla come spesso accadeva in Urss, un altro fatto a Milano, indoor, l’anno dopo, seguito, si diceva, da una secchiata di vodka trincata per festeggiare. Ovviamente Vladimir era ucraino.Riccioli biondi, maglietta della salute, grigia perché la tv era in bianco e nero, sotto la maglia dell’Unione Sovietica. Da.

Saltava con la tecnica del ventrale, più spettacolare, anche se meno redditizia, del fosbury flop, che ti fa valicare l’asticella con un curioso gesto da gambero, un salto tra il laterale e il posteriore. Il ventrale invece ti fa avvitare intorno all’asticella mò di pollo allo spiedo.
Jashchenko

Volodya durò poco, tra infortuni e bevute, e morì giovane, a quarant’anni.

I cari Offlaga Disco Pax, a proposito di gente che si ricorda cose inutili, gli hanno dedicato una canzone. Ne ho copiato il titolo per questa lettera. Del ventrale discuto spesso con la mia gatta Frida, appassionata interprete del fosbury: si cappotta in bello stile, la sera, nelle sue immaginarie cacce al topo che si concludono, quasi sempre, al primo sangue. Mio.

La vittoria di Vladimir fu un eroismo da Terza Internazionale Una misura strappalacrime ottenuta dall’ultimo grande Ventralista della storia. Con tanti saluti a Jacek Wszola e al suo amico Lech Walesa.

Ventrale

Altri tempi. Il mito dell’URSS! Iconografia dello sport! La DDR! Chi ha visto Le vite degli altri al cinema? Ecco, adesso invece questo tempo grave porta fuori dàlli al russo come parola d’ordine. Così se ne leggono di tutti i colori. Paolo Nori, ieri alle prese con la follia del boicottaggio “per evitare polemiche” della Bicocca, scriveva sul suo blog:

Ieri ho scritto al fotografo russo Aleksandr Gronskij per dirgli che mi sembra insensato che il festival Fotografia Europea abbia annullato il suo invito all’edizione di quest’anno. Oggi mi ha risposto. Copio qua sotto quello che ha scritto, che ho tradotto con l’aiuto degli studenti del primo anno del corso di traduzione editoriale che tengo alla Iulm di Milano

Caro Paolo,

grazie per le sue parole di sostegno. Spero tanto che al mondo ci siano ancora persone disposte a mantenere legami con la cultura russa e con i russi. In questi tempi folli, le accuse e la rabbia cadranno come bombe su tutti senza nessuna distinzione. E dobbiamo riconoscere che la colpa per i crimini di oggi graverà sui russi per sempre.

Adesso non riesco a dispiacermi per la revoca del mio invito, il mio dispiacere è tutto per il popolo ucraino. Tempi bui attendono la Russia, è difficile accettarlo.

Grazie ancora per il sostegno.

Con rispetto

Aleksandr Gronskij

Gronsky

Lettera #1

Cari amici, questa lettera l’ho scritta il 2 marzo e voglio condividerla anche qua.

Voglio cominciare raccontandovi un fatto: sabato scorso, a Roma, riordinando delle carte un po’ incasinate a casa di mia madre, ho trovato e letto la cartella clinica del ricovero ospedaliero di mio padre. 1968. Mi è toccato fare mille congetture, nella vita, cercando di immaginare come poteva essere, lui, nella vita di tutti i giorni, quella del poi, quella che non ci è stata data. Più volte ho pensato di scrivere quello che sarebbe stato, secondo me, se ci fosse stato modo di continuare a crescere insieme. Di lui ricordo qualche fotogramma, immagino di ricordare la sua voce, lo dipingo, defilato, che ci osserva, che ascolta, che parla con una voce calma e sorride. Che mi porta sulle ginocchia, in macchina, o per mano, o mi tiene su mentre tento di andare in bicicletta. Che aspetta in cucina quando torno da scuola col mio amico Formaggino.

Quando è mancato avevo compiuto da poco sei anni.

Insomma, leggo la cartella e apprendo cose su di lui che non sapevo. A dieci anni, per non farsi mancare niente, ha avuto la malaria. La malattia poi l’aveva fiaccato al punto da doversi fermare dopo un piano di scale o 50 metri di cammino. Tutte le cose scritte dal medico del San Giacomo che l’aveva intervistato me lo raccontano come non sono riuscito a vederlo: sofferente. Deciso a risolvere il suo problema una volta per tutte. La cartella dice cose che non starò qui a ripetere, soprattutto quando descrive gli esiti dell’autopsia. Può sembrare triste o macabro, ma se hai il vuoto alla voce ricordi ogni notizia ti impressiona. Tornerò a immaginarlo forte e sano, comunque, che di sofferenza ha fatto il pieno, in vita. E ne parlerò ancora.

C’è la guerra, laggiù. Tutti ne parlano troppo ed è anche per questo che mi rifiuto di entrare nel merito, come ho fatto con la pandemia sulle bacheche dove scrivo. La cosa che più mi dà fastidio del chiacchiericcio pubblico su certi argomenti non sono tanto i sedicenti esperti, che siano di geopolitica o di virologia o d’altro. Avere un posto dove scrivere induce a farlo e non sempre siamo all’altezza di cavalcare la penna senza danni. Mi dà fastidio però che ci si divida su certe questioni fino a litigare e a togliersi il saluto, perché la vita, come vedete, è un friccico (cit.), basta un virus incontrollato o un pazzo megalomane che ti bombarda per farti finire anzitempo sotto a un cipresso, e non vale la pena scannarsi come tra tifosi ultras. Non si nota la differenza, quantomeno, tra un normodotato e un cretino, così ci si livella sul fondo della padella. Tutti cretini.

Dico questo contraddicendomi da subito, perché sarebbe meglio stare zitti ma se sto qui è per parlare. Ok. Parlo.

Sento che il simpatico duo noto come La Rappresentante di lista, composto da una cantante con voce da usignolo e da uno sciurlato stropicciato con la chitarra, ha intenzione di organizzare un concerto pro Ucraina. Molto meglio fare così che chiacchierare. Tra l’altro Ciao Ciao conteneva sinistre profezie. Carina la canzone, l’iniziativa merita la menzione. Ecco.

Dicono che il politically correct ci condiziona, ma sbagliano. Ci condiziona l’idiozia. Come la spieghi altrimenti l’uscita dell’Università di Milano-Bicocca, che blocca il corso di Paolo Nori su Dostoevsky perché russo e divisivo? Poi ci mettono pure una pezza peggiore del buco, giustificando la scelta con il ridicolo proposito di aggiungere un autore ucraino. Bravo Nori a non farsi trascinare nella mota: ho altro da fare, dice. Ci credo, viste le bellezze che ci regala. L’avete letto Sanguina ancora? Un libro fantastico. Con l’occasione ve lo consiglio.

E già che siamo a parlare di russi vietati e di Paolo Nori, chiudo con dei versi di Velimir Chlebnikov. Non parla di guerra, parla di vita.

le ragazze, quelle che camminano,

con stivali di occhi neri

sui fiori del mio cuore.

Le ragazze, che hanno abbassato le lance

Sul lago delle proprie ciglia.

Le ragazze, che si lavano i piedi

Nel lago delle mie parole.

Chiudo qua la mia prima lettera e vi ringrazio per leggerla.

Se volete segnalarla a qualcuno, passate parola: sottoscrivete e fate sottoscrivere. Tra qualche giorno vi riscrivo. Forse anche domani. Ciao. Anzi, ciao ciao, con le mani, con i piedi, con il culo eccetera…

ciao ciao