L’altro/a

Lui non sopportava più sua moglie.
Non aveva tutti i torti:
una donna fredda e rabbiosa.
Lei aveva bisogno di evadere
dalla melassa di un marito ansioso
e petulante.
S’incontravano all’ora di pranzo
nella pausa del lavoro:
prima al bar, poi al parco
poi in un monolocale
affittato a poco.
Anni di incontri fugaci
quasi felici,
evasioni dall’ovvio
che diventavano via via
banali.
Lui vagheggiava
salti di qualità,
ma non le fece proposte.
Lei no.
Il monolocale, ho letto,
oggi è di nuovo sfitto:
telefonare ore pasti.
No perditempo

Amatrice, ritrovarsi in una favola

ob_1d6de8_copertina-libroHo vissuto il terremoto di Amatrice di riflesso: non ero lì, dove non abita più nessuno della mia famiglia da più di quarant’anni. Erano lì in villeggiatura mia madre e le mie sorelle, con mariti, figlie e nipoti, e per fortuna la nostra casa li ha protetti, valorosa, dal pericolo mortale della prima scossa. Ha poi retto a tutte le altre, ed è stata demolita il mese scorso, in ossequio al programma di messa in sicurezza che ha cambiato i connotati alla gestione delle zone danneggiate dal terremoto.

Ora, danneggiate. In realtà, tra Amatrice, Accumoli e Arquata, come sappiamo, ci sono paesi cancellati dalla faccia della terra, loro e il luogo dove sorgevano, e paesi che hanno riportato danni importanti, che in altri tempi sarebbero stati riparati direttamente dagli abitanti, e in fretta, perché lassù l’inverno è duro.

Sento ogni tanto qualcuno, giusto un friulano e un emiliano l’altra notte alla radio, che dice che loro carriola, pala e picco e hanno risolto da soli, quasi che amatriciani e aquilani avessero colpe per la situazione in cui si trovano: all’Amatrice carriola, pala e picco non si potevano usare, ammesso che fosse stato possibile mettere riparo all’enormità con strumenti semplici e da soli. Come svuotare il mare col cucchiaino.
E parlo di Amatrice, Accumoli e Arquata perché sono le realtà che conosco meglio, ma negli altri luoghi del cratere la situazione non è mica migliore.

Ci sono disastri ovunque e ovunque abbandono, e gente che si aiuta e si fa coraggio, ma se si guarda intorno vede il vuoto e sente la solitudine. Non viene meno la speranza, che è sempre l’ultima a morire, ma il tempo svela il volto brutto di questa tragedia, finito il momento della solidarietà e dello slancio emotivo altrui.

A distanza di due anni dal disastro, ho conosciuto, per un’occasione lavorativa, Daniela Lotti, che ha firmato un libro (come Danil) che racconta una favola. S’intitola L’orologio e l’incantesimo del tempo, è stato stampato dalla Tipografia Senese e racconta una bella storia, in cui s’immagina che si possa tornare a segnare un tempo in cui non siano capitati tutto questo dolore e questo danno.

La versione audiolibro è raccontata da Flavio Insinna e la fiaba è stata presentata, letta e rappresentata già diverse volte, sia all’Amatrice che altrove, ed è molto piaciuta. Anch’io l’ho molto apprezzata, incantandomi in questo pensiero ricorrente, immaginando una vigilia che si ripete, all’infinito, rifiutandosi di sfociare in una notte che non doveva mai arrivare. Il libro è un messaggio di speranza, destinato ai bambini: alimento per chi sosterrà il peso del futuro, che si spera per forza migliore, e auspicio di rinascita, che sorge spontaneo in chiunque si rechi nelle zone colpite da questa immane tragedia.
Daniela ha lavorato con grande delicatezza e sono contento di averla conosciuta. Ha uno sguardo bambino che colpisce.

Potete acquistare il libro qui, oppure sul posto, nella zona commerciale costruita ad Amatrice, o in libreria (a Siena da Volta la Carta c’è): parte del ricavato viene devoluto ai bambini di Amatrice.
http://www.toscanalibri.it/it/shop/l-orologio-e-l-incantesimo-del-tempo_5301.html

 

Il sole romano di Camilleri

Io (…) penso solo a godermi queste inattese e benedette giornate nelle quali posso ancora allucertolarmi al sole romano. Sono siciliano e quindi in fatto di sole ho una certa esperienza: quello romano, soprattutto se c’è quando teoricamente non dovrebbe esserci, è un sole di pasta diversa. Distensivo e conciliante, ti fa capire il senso vero della vita e la sovrana stupidità delle passioni estreme. E la città stessa, attraverso le sue pietre fatte per essere vissute al sole, mostra il suo volto sereno e placido, totalmente indifferente a chi ora la chiama, come scrisse un poeta, <<vacca rognosa>>, ora, con minore originalità, <<ladrona>>. Un celebre sonetto di Belli, intitolato Roma capomunni, inizia così: <<Nun foss’antro pe ttante antichità/bisognerebbe nasce tutti qui>>.

E quando ci si mette di mezzo anche questo sole incantato? La risposta la si può avere girando in questi giorni per le strade di Roma e osservando l’espressione e il comportamento dei turisti. Leggermente barcollanti, danno l’impressione di vagare dentro il migliore sogno che potessero fare, un sorriso stupito e pacificato stampato sulla faccia. I loro gesti si fermano a mezz’aria in un tempo sospeso, i giapponesi si scordano persino di scattare fotografie. Stanno forse a pensare, nelle loro lingue diverse: <<Non ci sono nato, pazienza. Ma devo proprio tornare a casa mia>>.

Andrea Camilleri, Allucertoliamoci.

Le amate lenticchie e la mejadra

Ogni giorno che passa divento più ghiotto di lenticchie. Condite, speziate, con lo yogurt, col cotechino, da sole, insieme agli altri legumi, con tutte le diavolerie del mondo.

Le mie preparazioni preferite sono due: la zuppa di lenticchie, alla umbra, con dentro una qualche ciccia o anche senza, e il dahl all’indiana con le lenticchie rosse e le spezie.

A un certo punto, però, mi hanno regalato il libro di ricette gerosolimitane di Yotam Ottolenghi. E lì dentro c’è la ricetta della Mejadra, che è una roba buonissssima.

Ieri me la sono gustata per la seconda volta e ne farò ancora.

Si tratta di preparare un basmati con spezie e lenticchie e di unirlo a una cipolla fatta a striscioline, infarinata e fritta. Ci si può aggiungere dello yogurt oppure no, e pare che in medio oriente sia un piatto usato come da noi si fa per l’insalata di riso: roba da picnic, da pranzo freddo o che. Non so. L’idea di mangiare freddo qualcosa di fritto non mi sconfinfera molto, mentre ho gradito infinitamente la mejadra sia dal punto di vista visivo che da quello, fondamentale, gustativo.

In rete c’è pieno di copiature della ricetta di Ottolenghi, quindi basta cercare.
Io scrivo qua come l’ho fatta, ieri, con grande godimento.

Per due.

Ho preso 150 grammi di lenticchie secche, ne avevo un pacchetto toscane. In genere uso quelle di Colfiorito, ma per come è venuto il piatto credo che quelle di Castelluccio ci starebbero a meraviglia. Le ho lessate lasciandole un pochino al dente, visto che hanno da andare un quarto d’ora, poi, col riso.

Ho preso una bella cipolla di Tropea, l’ho divisa in due per il lato lungo e l’ho tagliata a striscioline abbastanza sottili. Poi l’ho messa in una ciotola, ci ho aggiunto tre/quattro cucchiai di farina bianca e l’ho infarinata bene e poi l’ho fritta, una manciata alla volta, in tre dita di olio di semi di girasole. Fino a quando non s’è fatta bruna e croccante.

In una padella tipo wok ho messo a tostare un cucchiaino di semi di cumino e uno di semi di coriandolo pestati. Un minuto.
Poi ci ho aggiunto un etto di riso basmati bello sciacquato, le lenticchie, un cucchiaino di curcuma, uno di peperoncino tritato e uno di cannella, e ho irrorato il tutto con olio d’oliva. Quindi ho aggiunto un paio di bicchieroni d’acqua tiepida, ho portato a ebollizione e ho abbassato il gas, coprendo e facendo cuocere un quarto d’ora a fuoco basso. Ho dovuto aggiungere un po’ di liquido verso la fine perché stava asciugando troppo.

Una volta cotto gli ho dato un altro goccio d’olio e l’ho lasciato 5 minuti a riposo, quindi l’ho messo nel piatto con le cipolle fritte, metà mescolate al riso, metà disposte sopra, a guarnire.

Squisito.

Forse con un paio di cucchiai di yogurt greco, allungato con l’acqua e salato, poteva andare ancora meglio. Non è difficile da fare e non ci vuole poi tutto ‘sto gran tempo. Lascia una bocca meravigliosa e perciò è dura mangiare altro, dopo.
Slurp davvero.

Sempre da Ottolenghi, magari per antipasto, consiglio il cavolfiore fritto condito con yogurt e salsa tahini. Stellare.

Dimenticanze

Un po’ preso dal rush finale del lavoro ho dimenticato di aggiornare il blog e di celebrare l’anniversario dell’uscita del mio libro su Centocelle. Il 21 giugno del 2018 era in libreria, io l’ho ricevuto qualche giorno prima. E’ andato molto bene, anche se non so ancora quanto abbia venduto, e di conseguenza nemmeno se ci guadagnerò un euro. L’importante era avere un editore vero che lo pubblicasse, senza incentivi, contributi, rimborsi spese e cose così. Ce l’abbiamo fatta e se verremo in possesso di qualche borderò pubblicheremo dati su diffusione e vendita, per il momento sappiamo che le recensioni sono state una ventina, tutte positive, e che a Centocelle abbiamo fatto una sola presentazione e, verosimilmente, non ne faremo altre. Io ho un paio di progetti per le mani: in uno si racconta di lavoro, in uno si parla di Amatrice. Chissà che non si trovi un editore pronto al sacrificio. Intanto nelle prossime settimane si scriverà, credo.