Questione di genere

  1. Nel 2023 in Italia 105 maschi hanno ucciso 105 femmine con cui avevano, avevano avuto o desideravano avere una relazione sentimentale.
    È una questione di genere. Maschi che uccidono femmine. Ci sono maschi che non lo fanno, embé? Ma sono solo maschi quelli che lo fanno. Il problema siamo noi.
  2. L’educazione sentimentale, l’imprinting familiare, la progressione del mostro? Significa guardare indietro. Le cose stanno succedendo adesso. Il problema è domani, non ieri. Ok le analisi e i pipponi, ok i dati, ok tutto. Il problema è che domani succederà di nuovo. Si marcia al ritmo di una ogni tre giorni. Di peggio ci sono solo le morti sul lavoro.
  3. L’amore non c’entra un cazzo. Serve a far cominciare le relazioni, punto. Non stabilisce gerarchie. Le relazioni durature sono fatte, oltre che d’amore, di lavoro quotidiano da condividere: lavare, stirare, fare la spesa, cucinare, crescere i figli, pagare i conti, lavorare. Non c’è padrone né servo e se ci sono si parla d’altro. Prevaricazione o dipendenza. Schiavitù.
  4. Solo lui mi capisce, solo lui mi ama, senza di lui non è vita: non è vero. Non è vero. Non è vero. Il massimo della fortuna è camminare con qualcuno di pari passo, ma la verità è che siamo soli. Ed è giusto così.
  5. Un segnale, basta un segnale, solo un segnale, il primo. Tutti possono avere momenti d’ira, se sono momenti che passano. Nessuno può permettersi comportamenti violenti. Nessuno può controllare qualcun altro o limitarne la libertà. Insieme ci si stia per scelta libera sempre.
  6. Per quanti passi si possano fare, tutela legale, controllo dello stalker o del potenziale omicida, fino a quando non si mette mano seriamente a questa visione dei rapporti tra uomini e donne non c’è modo di fare prevenzione. A partire dalla famiglia. Dalla chiesa, che ha responsabilità enormi nella costruzione passata di questi modelli relazionali. Dal lavoro.
  7. La comunicazione è distorta. Basta con le immagini carine, con il troppo amore, con la melassa delle poesie di Prévert, con la retorica amorosa che serve solo a raccontare con la penna alata tipo Arminio quant’è bello trombare con la persona amata. Queste muoiono come mosche. Un assassino è un assassino, non è anche un bravo ragazzo che saluta sempre. E questo, cazzo, non lo chiamate Filippo. Maledetti. Non ci sia familiarità con chi uccide.
  8. Mi chiedo come sia possibile che persone comuni possano uccidere con tanta facilità. Non parliamo di delinquenti addestrati a uccidere. Questa è gente che pianifica, esegue, tenta di occultare omicidi (femminicidi) efferati, che sfregia e smembra cadaveri, che elabora piani finalizzati all’eliminazione dell’altra. Come nasce questo pensiero? Come può realizzarsi? Che progressione ha? Perché ci deve essere da qualche parte, in qualche tempo, un salto di qualità che trasforma una testa di cazzo qualunque in un assassino.
  9. Non sminuite niente! Non sminuite le richieste delle donne sul salario, sul linguaggio, su ogni discriminazione denunciata, su ogni parità rivendicata! Sono tutte parti dello stesso problema! Sono tutte importanti!
  10. Dobbiamo fare qualcosa come maschi per combattere questo orrore. Mobilitarci, marciare, denunciare, agire. Non basta sostenere.
    Non basta.

https://pancrazioanfuso.substack.com/p/questione-di-genere

Coltivando la musa per costruire il futuro

Da giorni rimugino su uno scritto del mio amico Antonio Cipriani, che ha innescato i soliti deragliamenti e deliri, oltre alla riconnessione con altre cose che mi spiegano a me stesso.

Cari amici, il Cip, al secolo Antonio Cipriani, che molti di voi conoscono, mi funziona ormai da quasi un quarto di secolo da stimolatore di ragionamenti ponderosi e arravugliati su sé stessi, che generano lampi ed epifanie, elucubrazioni e letture, e la solita mole di inutili sbattimenti intracranici.
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Siete poveri? Fatti vostri

Ovvero Fassino e il cedolino (scusate se non ho scritto nel titolo cazzi vostri ma sono un tipo educato e non sta bene)

Una settimana infuocata, cari amici, non soltanto in senso atmosferico.

Dopo che un sms ha annunciato ai percettori del sussidio/reddito di cittadinanza che dovranno procurarsi pane e companatico in altro modo;

Dopo l’elargizione di ben un euro al giorno alle famiglie bisognose da parte di Giorgia & co, intitolata Dedicata a te, annunciata con tripudio di fanfare;

Dopo aver appreso che l’erosione del potere d’acquisto dei salari in Italia, nell’ultimo anno, per effetto di inflazione e rincari è del 7,3%, fonte CorSera del 31 luglio (vedi foto), il doppio della media OCSE, oltre 6 volte il valore della Spagna, che ci segue nelle tristi classifiche dei salari europei ma mette la freccia e si prepara a sorpassare; primato condiviso con la crema dei sovranisti amici di Giorgia, con Orban leader indiscusso degli affamapopoli dell’Unione;

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Intelligenza artificiale (e furbizia umana)

Daryl Hanna in Blade Runner

Cari amici, in tanti si trastullano con l’idea dell’intelligenza artificiale. Una cosa affascinante che chi, come me, da buon boomer si è pasciuto della fantascienza robotica di Isacco Asimov si aspetta da decenni. Scenari da film! Robot umanoidi che ci proteggono! Androidesse bellissime Blade Runner style!

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La mia newsletter

Mi sono spostato più o meno permanentemente su substack, dove curo una nuova newsletter. Questo è l’indirizzo: postpank.substack.com

Lo spostamento dalla precedente newsletter su Revue è dovuto a un paio di motivi:
Substack mi piace molto di più come interfaccia e non è di proprietà di Twitter.
La tendenza è sempre a uscire dalle piattaforme social principali, anche se per ora non si può fare a meno di condividere lì sopra gli aggiornamenti. Ma i contenuti ne restano fuori. Lo strumento della lettera che arriva per mail, per quanto possa sembrare obsoleto, è preferibile per tanti motivi, soprattutto riporta a una fruizione di internet meno imprigionata nelle gabbie di facebook & co.
E infatti c’è una grossa fioritura di contenuti di qualità su newsletter, quasi paragonabile al boom dei blog di vent’anni fa.

Chi vuole ricevere le mie lettere, che hanno periodicità non fissa ma all’incirca settimanale, può sottoscrivere la newsletter cliccando qui:

https://postpank.substack.com/

Questo blog comunque rimarrà attivo.

Gente

periferie

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
Perduto in mezzo a un polveroso prato.
(…)
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo

Cari amici, chi sono dunque queste genti mitiche delle periferie a cui tutti si riferiscono e che mi fanno scomodare un Sommo Poeta? Queste donne e questi uomini che muovono consensi come energie incontrollabili, masse che si spostano come gli storni di Parisi e creano e distruggono scenari ogni volta più imprevedibili ed effimeri?

Sono dunque le massaie con le ciabattine di spugna e la pancetta gonfia, le varici e lo sguardo buttato di lato, mentre sciacquano un piatto e caricano la moka, che lurkano una ricetta in tv, seguono una televendita, annotano i numeri per il lotto, girano la polenta, castrano fagiolini e s’impicciano degli amori della ragazzina del piano di sotto?

Sono gli scafessi assiepati sui marciapiedi, davanti ai bar, che si danno spintoni e giocano allo snai, arrollano e pippano, campano d’espedienti, bullano e rappano e comprano Nike air force per fare la fila al mac?

Sono i cattolici assediati, i pedalatori notturni, gli spettatori di grandi fratelli e Amici, i raccoglitori di punti, i dazndipendenti, i pezzottari, i divoratori di nduje e salsicce e lonze delle fiere, gli spazzini che sgobbano e quelli che s’imboscano, quelli che lavano a gettone, che comprano il pane bianco da meno soldi, che battono i discount, che vanno a mezzo servizio, badano ai vecchi, stanno in fila sulle banchine della metro, sotto le pensiline dei bus, e s’incazzano perché i mezzi non passano, la gente puzza, nun se mette la mascherina, anzi se la mette, è straniera, è italiana, ha la panza le cuffiette gli anfibi e te se struscia e t’apre la borsa e parla a voce alta al telefono delle cose sue?

Mettiamoci pure a giocare con le liste, hai voglia a farne. Io queste mitiche genti le conosco, ne ho fatto parte, prima di trasferirmi nelle campagne del buco nero della democrazia. Io lo so che è gente buona, ma imprevedibile, gente che capisce le cose a modo suo, in base alla sua sensibilità, gente che tu stai in piazza e ti batti per lei e lei non lo sa e non se lo immagina neanche, gente che ha cose più serie che gli passano per la testa, anche se non si capisce chi stabilisce quali siano le cose più serie. Ognuno stabilisce le sue.

Gente che non ha tempo per ricordarsi orari, scadenze, cose, che non ha voglia di sbattersi, che arriva a sera sfinita anche solo di noia, di lavori di merda, di pochi soldi in tasca, con lo svago di una partita di calcio, un cane al guinzaglio, una minchiata di Bonolis su telemerda. Gente che ne ha le palle piene.

Questa gente non è che vota male o vota per dispetto, questa gente ha altro per la testa ed è disillusa, vota per affezione, per tradizione, per suggerimento, non vota, voterà. Cambierà forse di poco idea, magari si appassionerà all’idea di un figlio o di qualcuno incarrato sui social.

Gente che è alle prese con la vita. Oh, sì, quella cosa complicata che in tanti cerchiamo di spiegarci, scomponendola e guardandola in controluce. Quella vita che per tanti è opaca e insondabile, di una luce senza spettro, che corre come la piena fangosa di un torrente che all’improvviso s’ingrossa e ti travolge.

Giorgia on my mind

meloni & meloni
Cari amici, tanto tuonò che piovve. Mentre mi genuflettevo a un sozzo virus che mi metteva kappaò, arrivava l’M-day: l’onda di piena c’è stata, i sondaggi l’avevano prevista ma non nelle proporzioni che hanno messo a nudo una brutta situazione.

Ovviamente è salito alto il grido di dolore: fascistoni alla guida del Paese!
In realtà questa cosa accade da trent’anni, lo sdoganamento dei missini è targato Silvio B. e si tratta di facce note, anzi notissime, per aver già partecipato a governi passati, fallimentari più o meno come tutti.

Il lavoro sulla memoria degli italiani, agevolato dal passare del tempo, è stato portato avanti in maniera incessante. E ha prodotto quello stato che in una lettera recente mi pareva giusto definire “se niente importa”, per citare il titolo che un grande scrittore ha utilizzato per altre non meno nobili questioni.

Così l’inutile scampanellamento di tutti gli allarmi fascismo ha prodotto il niente del risultato elettorale. Il centrodestra non fa altro che redistribuire i voti tra le sue componenti, e vista la credibilità recente di Salvini è normale che i suoi elettori abbiano scelto Meloni. Anche perché se devono votare a destra, forse gli torna meglio votare più a destra possibile.

Le condizioni tragiche del PD vanno lette aggiungendo un dato: tutti quelli, e sono tanti, che dicono di votare col naso turato: se avessero una proposta alternativa ciao. Così come, a leggere in giro, sembra ci siano voti comunisti nel ricco bottino portato a casa da Giuseppe Conte, la cui faccia amica ha rassicurato gli italiani durante il lockdown, o almeno ha provato a farlo.
All’epoca era molto popolare. Forse troppo.

Ma non sto qui a fare l’analisi del voto, non ne ho la capacità, registro quello che sento. L’allarme ora si accende su certi fronti, che la destra considera poco o per niente, quando non rema contro. Mi aspetto che alcuni si sentano liberi di aggredire, discriminare, intimidire, insultare. Temo per tutti i possibili bersagli, e sono tanti.

Per il resto, sarà ordinaria amministrazione. Resta il fatto, sconcertante, che a Stazzema Fratelli d’Italia ha preso il 30% dei voti e il cdx ha vinto quasi con la maggioranza assoluta. E capite bene, amici miei, che davvero siamo al se niente importa.

Vita pericolosa del sarago mannaro

foto segnaletica
Cari amici, beati voi! Vi siete distratti con i funerali di Elisabetta, state lì a sgranare il rosario pregando tutti i numi di scoprire lunedì prossimo che i numeri della Meloni siano meno di quanto predicavano i sondaggi e avete passato una domenica allegra assistendo alle sceneggiate di Mourinho. Fortunati.

Noi invece abbiamo convissuto col terribile Sarago Mannaro, il feroce morsicatore del Golfo di Procchio, Isola d’Elba, dalle orrende fauci fameliche e spietate.

Avevamo notato sobbalzi e gridolini dei bagnanti, in acqua: nuotatori di lunga lena che traversavano il golfo manco fossero traghetti in servizio di linea, istruttrici di cani da salvamento, circondati da sirene con tatuate farfalle variopinte e costumini succinti, omini de panza, cani barboncini con la fobia dell’acqua, cani pointer che percorrevano il bagnasciuga a 50 all’ora come pazzi, impresarie milanesi che parlavano di soldi sotto l’ombrellone che le riparava dal sole ma non impediva loro di vagheggiare di casse integrazioni che tacitino dipendenti avidi, decisi a rivendicare salari con tutta l’ingratitudine e l’irriconoscenza delle maestranze cippute.

Stavamo dicendo? Ah, sì, il sarago mannaro. Come agisce il subdolo predatore delle sabbie nostrali? Manda in avanscoperta un pesce rondinella di quelli con la macchietta sopra la codina biforcuta, che uno li guarda, nell’acqua trasparente, ed esclama ooh aah guarda guarda che bel pesciolino.

Lui ti balletta intorno, tu ti distrai un attimo e osservi la chiappa soda della vicina d’ombrellone che esce dall’acqua e in quel momento zac! L’astuto sarago mannaro, giunto all’improvviso, ti attacca alle spalle, ti azzanna le carni, ti scarnisce i calcagni e ti intacca i garretti, senza riguardo a genere, religione, lingua o professione.

Lui arriva e morde, e se ti trova buono rimorde. Porto ancora i segni di questa terribile esperienza, e su tutte e due le zampe! La destra ha sanguinato copiosamente, la sinistra ha ancora adesso un’orribile ferita.

Se ti tuffi nell’acqua trasparente lo vedi, beffardo, che ti nuota intorno. Qualcuno ha tentato di colpirlo, ingannato dalle distanze alterate dall’acqua, vibrando colpi incerti, da ubriaco, e calci nel vuoto. Il terribile pesciolino, camuffato nella sua livrea a strisce simil juventine, si allontana con due colpetti di coda e cerca altre vittime ignare, basandosi sui precisi resoconti del pesciolino ricognitore.

Un animale subdolo, in grado di manipolare l’informazione veicolando fake news: l’anziano canoista lombardo, sedicente esperto di cose ittiche, asseriva con certezza che trattavasi di pesce ragno, volgarmente detto tracina, che s’acquatta nella sabbia e zot! Ti arpiona con una specie di pungiglione dolorosissimo.
No! Il sarago mannaro preferisce l’eleganza del morso rapinoso alla ferocia belluina della zaccagnata improvvisa, che fa piangere le ragazze e bestemmiare tutti i numi i maschi senza dio di queste lande larghe di bocca e profumate di mirti e salvie.

Sembra si tratti di Resistenza: no alla grigliata, umani go home.

E in effetti al restaurant si trovano più facilmente orate e spigole che le peschi facilmente alla Coop o dal grossista cash & carry.

Del sarago mannaro rivoluzionario nei menu non c’è traccia: segno che solo chi lotta può sopravvivere, in questo mondo ingiusto e furbacchione.

Perciò domenica mi sa che voto sarago.

Se niente importa

friends
Per fortuna nelle ultime settimane sono stato molto impegnato e non ho potuto seguire più di tanto l’accelerazione della campagna elettorale perenne che va avanti da qualche anno e si prepara allo showdown settembrino.
Ormai c’è poco da illudersi: gli italiani votano come tifosi e i politici lo sanno. Così possono dire tutto e il contrario di tutto per riempire gli spazi che hanno a disposizione, parlando al pubblico dei comizi, dei talk show, dei social network, dei giornali di carta.
Della contrapposizione tra destra e sinistra restano sul tavolo i temi.
Viviamo da decenni una fase in cui gli squilibri tra chi ha e chi non ha niente aumentano a dismisura, ma questo non basta a creare una sensibilità maggiore verso i più deboli, verso le tematiche ambientali, e non basta a creare un desiderio tangibile di pace e di prosperità. Al netto delle minchiatine social.
Un’agenda politica scritta altrove, in un Paese a sovranità limitata che deve stare in un tracciato preordinato e non scantonare, dovendo rispondere a logiche sovranazionali di cui si è fatto garante e sostenitore, crea i presupposti per far sì che si notino sempre meno le differenze tra questo o quell’aspirante leader.
L’esperienza del Movimento 5 Stelle al potere dovrebbe insegnare qualcosa: siamo davanti a forze che tendono a essere diversamente uguali, che si propongono in modo diverso ma puntano a piazzare più culi possibili sulle poltrone che contano, sapendo già di determinare poco o niente: gli orientamenti generali sono quelli, tutto sta a trovare chi si prende la briga di mettersi al timone di una macchina statale che cammina da sola.
Fenomeno accentuato dalle numerose emergenze recenti, che hanno persuaso molti a continuare sulla strada dell’allarme, che costruisce consenso. L’importante è strillare all’emergenza, senza mai venirne a capo: come chi cerca voti promettendo sicurezza e sa che la promessa, per portare frutti, deve essere reiterata. E dunque si deve aumentare il bisogno di sicurezza, ingigantire il problema invece di risolverlo per poter continuare a proporsi.
La differenza sta (starebbe), quindi, nel sistema di valori che dovrebbe differenziare gli schieramenti. E qui si rompe l’ultimo velo, perché il consenso a Meloni e al centrodestra, che pare straripare, a leggere i sondaggi, significa che non si ritiene importante difendere certe conquiste, o, perlomeno, che non le si ritengano a rischio.
Così si accetta di buon grado, come democratica, una forza che include elementi che certi valori li mettono in discussione, evocando scenari che in giro per l’Europa, vedi foto, già marciano da tempo. Fascismo, razzismo, sessismo, autoritarismo, negazione della libertà di stampa, dei diritti dei lavoratori, e poi carceri, fine vita, aborto, parità di genere, nessun tema di questi entra davvero nella valutazione di una candidatura.
Ci si ferma in superficie.
Si pensa di poter “provare”, senza capire che bastano pochi mesi per cambiare faccia a un Paese. Soprattutto in peggio.
Così ci accingiamo a votare non si sa per chi, sapendo anche di aver preso calci non da poco seguendo la logica del voto “utile”. Utile a chi? Un pezzo enorme del Paese non è rappresentato dalle principali forze in campo. Restano a pigolare forze, appunto, residuali.
Ma non è questo, il punto: il punto è che niente, davvero, sembra più importare. Solo il potere e il desiderio di stare nel flusso che conta, quello che dà prestigio e vantaggi personali, quello che ti fa sistemare per la vita.
Utopie di plastica, deliri d’onnipotenza domestica.
Gorbaciov volava parecchio più alto.
Ma è finito in miseria…

In morte di Sonia M.

Ciao Sò

Cari amici, scrivo finalmente dalla nuova casa, dopo giorni e giorni d’impegno traslocatore: svuota cartoni, monta mobili, riempi cassonetti, attiva utenze, impara cose, è tutto un turbinio di novità e uno schizzo d’adrenalina.

In periodi così impegnativi il vantaggio è che ci si isola dal mondo esterno, stando concentrati sulle mille cose da fare. Ma la vita, purtroppo, ci bussa alla finestra e ci tira secchiate d’acqua gelida. Una notizia annichilente, ricevuta via Facebook, è quella della morte di Sonia Manzi.

Ho conosciuto Sonia una quarantina d’anni fa. Era la migliore amica della mia ex moglie e ci siamo frequentati, quando più quando meno, per parecchi anni. L’ho poi ritrovata, appunto, su Facebook, e ne ho seguito con ammirazione gli sforzi e l’impegno quotidiano, infinito, nella lotta contro certe ingiustizie che ci indignano.

Spesso per molti di noi si tratta d’indignazione da divano: si tira un moccolo, s’impreca contro questo o quel politico strumentalizzatore, si conciona su Facebook, si firma una petizione. Si arriva, insomma, anche a formulare pensieri edificanti e a metterli nero su bianco. Passare all’azione, però, è un’altra cosa.

Ne parlavamo in chissà quale lettera passata: Engagez-vous, diceva quello. Sonia conservava ancora la stessa squisita ironia di quando regalava battute fulminanti, a nemmeno quindici anni. Ma nel frattempo era diventata una guerriera, e sa di che parlo chi ha minimamente seguito gli eventi degli ultimi anni a Roma, tra Baobab Experience e altre forze che tentano di arrivare dove lo Stato colpevolmente manca, superando ogni sorta di contrarietà.

Mi aveva raccontato tante storie in una lunga telefonata un paio d’anni fa, ci scrissi un articolo non ricordo per chi. La notizia della sua morte prematura mi ha colpito e commosso, non sapevo niente della sua malattia, frequentandola solo virtualmente.

Da allora non smetto di pensare, non solo alla perdita di lei, al dolore della famiglia, che ho conosciuto, soprattutto il padre, ai figli che lascia, ma soprattutto all’impegno che portava avanti con una forza incredibile, che si concretizzava nell’aiuto materiale di cui tantissime persone migranti hanno bisogno, un aiuto negato, come diritto e come semplice atto umanitario, per ragioni che non sono sostenibili per nessuna ragione al mondo.

La lotta di Sonia, insomma, era un contributo materiale all’umanità, e attraverso quei gesti concreti lei, insieme ai suoi compagni, affermava valori che neghiamo quotidianamente: chi lo fa per indifferenza o per inerzia non è innocente, di fronte a certi drammi, perché non basta annuire, mettere like o tirare il moccolo di cui sopra per liberarsi dal fardello che portiamo come componenti della civiltà occidentale.

Lasciando stare i massimi sistemi, quindi, saluto un’amica e una grande persona. Tante volte mi è passato per la testa, nella vita, un pensiero tipo “adesso muoio”. Tante volte ho pensato a chi, tra i miei amici e conoscenti, poteva essere in pericolo di vita.

Ricevere certe notizie lascia di sasso. Mi pesa addosso l’assenza di tutte le persone che ho frequentato e non ci sono più. Saluto Sonia e prometto che non la dimenticherò, tanta gente la ricorderà con gratitudine ed ammirazione per quello che ha fatto nella vita.

Non dimenticandola faremo in modo che viva il suo esempio e che il suo impegno non sia stato vano, sperando che per una Sonia che cade ce ne siano tante pronte a continuare la sua lotta.