Non eri Einstein, non eri niente

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Che firmi un altro contratto o meno, Totti è già un ex da parecchio tempo. E’ rimasto a galla perché gioca in un campionato poco competitivo, e può piazzare qualche bel colpo tra tante pause, sempre crescenti.

In 25 anni ha raccolto poco, per il suo potenziale. Espresso in campo sempre e solo nelle stesse condizioni date: in casa e lontano dai luoghi dove si è scritta la storia del calcio.

Ha vinto un mondiale da peso morto, in cui è riuscito soltanto a segnare un calcio di rigore, specialità che lo ha issato ai massimi livelli della classifica dei cannonieri all-time della serie A, secondo solo al leggendario Silvio Piola. Ha scelto di fare il capitano della Roma a vita, invece di misurarsi con i grandi palcoscenici del calcio mondiale.

Forse poteva raccogliere di più, ma ha pagato limiti personali di carattere e di ambizione. Giocando in qualche grande club europeo, tra l’altro, avrebbe potuto imparare l’inglese o lo spagnolo, il che lo renderebbe pronto per fare l’ambasciatore internazionale del calcio, come tanti grandi ex.

Viene in mente la famosa battuta di Kaufman: non eri Einstein, non eri niente. Il suo personaggio è basato su quello che ha saputo dare di positivo in campo (gesti tecnici sublimi, gol a profusione), amplificato da un potentissimo spiegamento di forze mediatico che ha fruttato al suo club una cascata di denari, spesi non benissimo, a quanto raccontano i bilanci.

Tutti hanno sminuito e nascosto i gesti antisportivi che ne hanno costellato la carriera: calci, sputi, gherminelle, sceneggiate, espulsioni. Nei 25 anni in cui è stato in campo Totti ha prodotto la saldatura perfetta tra campo e tifoseria, accordando la rappresentazione sul prato verde con gli umori della curva, mandando in soffitta il cliché della Roma elegante di Liedholm e Di Bartolomei per affermare quello della squadra popolana e tronfia, dell’io sò io e voi nun sete un cazzo di Onofrio Del Grillo.
Romanaccia e rifardita.

Tutto, da lui in poi, è stato sacrificato sull’altare della scoattata: l’ultima rappresentazione s’è vista nei derby di quest’anno, con i gesti scomposti di calciatori olandesi, belgi, tedeschi che evidentemente inzuppano il pane dei loro comportamenti nel brodo dello spogliatoio. Risibile il tentativo di recuperare l’aplomb da parte della dirigenza.

Il dopo Totti, forse, restituirà la Roma al novero delle squadre di calcio, facendola uscire dalla dimensione circense in cui s’è rintanata, accettando il ruolo di sparring partner della scudettata di turno, novello Ivan Drago che tuona e minaccia ma poi si accontenta della borsa del perdente.

Peccato, perché poteva essere, la sua, una grande storia, in grado di ricalcare le orme dei Meazza, dei Rivera e dei Baggio. Ma Totti si è accontentato di essere sé stesso, e così.
La colpa è anche dell’ambiente, che lo ha chiuso in una gabbia dorata dalla quale lui, ragazzo semplice, non ha saputo liberarsi.

Per i tifosi della Roma è una tragedia, una specie di lutto sportivo che li renderà inconsolabili, a meno che non riescano finalmente a vincere qualcosa. Per i laziali è un incubo, perché Totti ha rappresentato la garanzia assoluta di una Roma perdente: la fine del tottismo potrebbe recuperare al calcio una pericolosa concorrente. Chi vivrà vedrà.

Aggiornamento del 17 giugno 2019: il vecchio campione è rimasto ininfluente anche da ritirato. Dopo la bella cavalcata dell’anno scorso in Champions League, arenatasi davanti al ben conosciuto scoglio del Liverpool, la navicella giallorossa ha fatto rotta verso il disastro, culminato con l’ennesima festa in biancoceleste che ha scosso la sonnolenta Città Eterna, mentre gli ultras romanisti manifestavano contro Pallotta e per lo sbarco a Trigoria di un presidente illuminato come Ferrero.

Mentre radiomercato scandisce le partenze di stagione, si rialza il livello della polemica, con Totti che appende la cravatta al chiodo nel giorno dell’anniversario della vittoria del suo unico scudetto, e si appresta a recitare un ruolo lontano da Roma, anche se potrebbe fare capo a Via Allegri. Un ruolo, finalmente, da campione.

Ai titoli di coda una storia d’amore e di calcio, tra palpiti miliardari, invidie, desideri di uccidere il padre, il fratello e/o il figlio, e una continua, infinita, inguaribile allergia alla vittoria.

Mentre i media inzuppano il pane nell’unto del campione mediatico, l’uomo resta solo, e si completa la deromanistizzazione della Roma, affidata ormai alla residuale presenza del solo Bellodenonna Florenzi.

Nelle schiene biancocelesti corre più che mai un brivido d’inquietudine: la sconfitta della rivale non è più garantita dalla presenza dei centurioni fatti in casa. Da domani si cambierà, e se la Roma smetterà di gravitare intorno al Raccordo potrà arrivare, finalmente, a una nuova dimensione. Quale? Ai posteri l’ardua sentenza…

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