La seicento

Il ragazzo timido aspettava la patente come la manna dal cielo. Aveva studiato scrupolosamente la teoria, fino a risultare il migliore della classe all’autoscuola, facendo solo 6 errori su 2000 quiz. Si era applicato coscenziosamente alla guida, cercando di limitare il numero delle lezioni, che costavano care.

Aveva poi passato in scioltezza gli esami e si era garantito il passaporto rosa per la libertà. Con la patente in mano, non aveva avuto difficoltà a convincere il nonno a privarsi della sua vecchia 600, sostituita con una fiammante 127 verde pisello alla cui guida, per il momento, gli era proibito sedersi.

La 600 era in discrete condizioni, ma aveva bisogno di una sistemata. Il ragazzo timido le dedicò tutti i pomeriggi. Lavorava ai mercati generali, la notte. Arrivava a casa al mattino, dormiva, si alzava verso le tre del pomeriggio, mangiucchiava qualcosa e poi si dedicava alla macchina parcheggiata nel cortiletto davanti casa.

Scintillante, lucidata, incerata, la 600 era di un rosso fiammante. Foderine nuove. Cofano anteriore pulitissimo, acqua e olio controllati scrupolosamente, nuovo portabollo. Disposto in zona invisibile il magnete di Santa Rita con su scritto Vai piano, attaccato dalla nonna. Appeso allo specchietto un Arbre magique zebrato.

Con  precisione il ragazzo timido calcolò che stando attento alle spese nel giro di qualche settimana avrebbe potuto comprarsi un kit di trasformazione per fare della 600 una grintosa 750 Abarth. Nel frattempo si accontentava di lucidare le gomme, dopo il grafitaggio, e di montare la radio. La macchina era ormai quasi perfetta. Il ragazzo timido pensò ancora che avrebbe chiamato il carrozziere per fargli fare una striscia bianca sul cofano, la settimana prossima.

Passò il venerdì pomeriggio dal barbiere. Ne usci soddisfatto, con un capello scriminato a sinistra e dal volume considerevolmente gonfiato col phon e fissato con la lacca. Però gli bruciavano gli occhi per via dello shampoo, come sempre. Si guardò allo specchio e si piacque. Gli venne però da preoccuparsi, pensando a come avrebbe riprodotto il miracolo del capello gonfio la mattina dopo.

Scacciò il pensiero evocando la ragazza bionda che avrebbe atteso sotto scuola l’indomani con la 600 rossa. Aveva preso un permesso al lavoro per prepararsi spiritualmente. La sera uscì a prendere una boccata d’aria, rincasò presto e mangiò di gusto le melanzane alla parmigiana della mamma. Poi, incurante dei tempi tecnici previsti per la digestione, riempì la vasca e si fece un bagno caldo, mentre la mamma guardava Dallas alla televisione.

Quella notte dormì poco, pensando alle migliorie ancora possibili sulla 600 (una marmitta nuova, delle borchie cromate, magari un bell’alettone da mettere sul cofano posteriore) e alle cose che avrebbe detto alla ragazza bionda per invitarla a fare un giro.

L’indomani si alzò presto, fece una bella colazione, indossò i nuovi jeans Spitfire a tubo, maledì le cuciture un po’ storte, infilò le scarpe nuove a punta, nere, ricordandosi mentalmente di fare attenzione a evitare le storte. Una polo bianca, gli occhiali Rayban del marocchino, un pacchetto di Marlboro morbide da tenere sotto la manica, il bicipite reso tonico dallo scaricamento della frutta a impedire al pacchetto di cadere, mostrando anche una certa possanza fisica, il che non guasta.

Si guardò allo specchio, registrando lo sguardo migliore, serio dietro agli occhiali, con le labbra socchiuse. Poi andò.
Parcheggiò in doppia fila sotto scuola. Scese dalla 600 e si appoggiò sul cofano. La radio mandava a volume sostenuto Water of Love dei Dire Straits. Un primo disco della madonna, conosciuto per via di Sultans of Swing, pezzo di maniera cui il ragazzo timido preferiva e di molto Wild West End. Canticchiò tra sé.

Poco dopo sentì la campanella suonare. Si dispose plasticamente sul cofano, col piede destro sul paraurti a mostrare la scarpa grintosa. Accese una Marlboro e aspirò due o tre boccate avide, infuocando la sigaretta. Espirò il fumo con l’aria seria. Non minacciosa. Assorta, ma vigile. Le braccia conserte. Si ricordò di socchiudere le labbra. Poi la vide.

La ragazza bionda avanzava in tutto il suo splendore. Gli occhi azzurri, i capelli lisci, chiari come il grano, lunghi fino alle spalle dritte. Alta, elegante nei suoi pantaloni bianchi con sopra un cardigan rosso come la 600 sfavillante, nella quale il ragazzo timido sognava di tenerla tra le braccia nelle fredde sere d’inverno, ascoltando la musica e guardando le gocce di pioggia scendere sul vetro, tracciando linee che si fondevano incrociandosi tra loro, trapassate dalle luci rosse delle macchine che sfrecciavano, dirette verso qualche dove.

La ragazza bionda avanzava sorridendo, i libri in mano. Al suo fianco il prolifico centravanti della Libertas, con le gambe ad archetto, le spalle larghe, lo sguardo volitivo, qualche segno di barba che copriva l’acne aggressiva. Le camminava al fianco, tenendole un braccio sulle spalle, e le parlava con dolcezza, camminando rivolto verso di lei, mostrando di profilo tutta la poca fronte che aveva.

Il ragazzo timido attese con calma apparente che i loro sguardi si incrociassero, portò la sigaretta alle labbra ed espirò rumorosamente, girandosi a guardare verso l’infinito, bello e dannato. Attese ancora qualche istante, dandosi un tono, mettendo su una specie di ghigno sorridente.

Poi il clacson dell’Alfasud terra di Siena parcheggiata accanto alla 600 lo scosse. “Che mi fa uscire?” chiese fiduciosa una cinquantenne professoressa con le meches e gli occhiali attaccati a una catenella d’oro. “Certo, subito” rispose il ragazzo timido. Salì alla guida dell’auto, mise in moto, ingranò la prima e partì, deciso, mentre la radio attaccava Sultans of Swing.

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